Di Matteo: «Privilegiare nelle scelte che riguardano la carriera di un magistrato il criterio dell’appartenenza ad una corrente è molto simile all’applicazione del metodo mafioso»

«Privilegiare nelle scelte che riguardano la carriera di un magistrato il criterio dell’appartenenza ad una corrente o ad una cordata di magistrati è molto simile all’applicazione del metodo mafioso».
Lo ha detto il pm Nino Di Matteo a ‘Non è l’Arena’ su La7.
«La valutazione del lavoro di un magistrato o le nomine fatte per incarichi direttivi nei confronti di un magistrato condizionate da un criterio dell’appartenenza sono assolutamente inaccettabili, lo dissi allora lo ripeto ancora e adesso che sono stato eletto al Consiglio Superiore della Magistratura la mia battaglia attuale e futura sarà sempre quella di cercare di dare un taglio netto o di contribuire a dare un taglio netto a questa mentalità. Più che le riforme serve a mio parere una svolta etica un cambiamento vero che deve riguardare la mentalità dei consiglieri ma deve riguardare la mentalità di tutti magistrati. L’appartenenza non può condizionare le scelte, quando si tocca il fondo è il momento buono per ripartire e in questo momento come si sul dire il re è nudo dobbiamo trovare la forza necessariamente a tutti costi di invertire per primi noi la rotta, prima che invece qualcuno possa approfittare di questa situazione di difficoltà della magistratura, di mancanza di credibilità della magistratura per riforme che hanno uno scopo che noi non possiamo mai accettare quello di sottoporre di fatto la magistratura a un controllo da parte del potere politico», ha affermato il pm.
Alla domanda del conduttore Massimo Giletti sulla sua esclusione dal pool, Di Matteo ha risposto:
«Sono stato estromesso dal gruppo stragi ho poi verificato dagli atti dell’indagine di Perugia che il Dottor Palamara prima che avvenisse questa esclusione si era diciamo lamentato del fatto che io facessi parte di questo gruppo stragi entità esterne e nel momento in cui venne resa nota la mia estromissione accolse la notizia diciamo con molta soddisfazione, non devo essere io a dire cosa penso».
E ancora: «Io appartengo a quella categoria di magistrati che lavorano senza speranza e senza timori non calcolo le conseguenze di quello che dico però non reputo giusto riferire diciamo dei miei giudizi. La mia amarezza è stata enorme perché io ho lavorato per decenni sulle stragi, la vita professionale di molti magistrati ancora più autorevoli ancora prima di me è stata costellata da continue amarezze continue, delegittimazioni e solitudini. Se penso a quello che hanno passato nella loro vita professionale Paolo Borsellino soprattutto Giovanni Falcone penso sempre lo dobbiamo ricordare. La loro soprattutto quella di Giovanni Falcone, del magistrato più stimato nella storia diciamo dell’attività giudiziaria italiana all’estero, la storia in Italia di Giovanni Falcone una storia di continue sconfitte. Abbiamo bisogno in questo paese di memoria di consapevolezza di quello che è accaduto e abbiamo bisogno di ricordarlo e sottolinearlo in ogni circostanza».