Silvia Romano, al-Shabaab: i soldi del riscatto «serviranno in parte ad acquistare armi, di cui abbiamo sempre più bisogno per portare avanti la jihad»

I soldi del riscatto pagato per la liberazione di Silvia Romano «serviranno in parte ad acquistare armi, di cui abbiamo sempre più bisogno per portare avanti la jihad, la nostra guerra santa».
Lo ha detto Ali Dehere, portavoce del gruppo terroristico Al Shabaab, in un’intervista a “La Repubblica”.
«Il resto servirà a gestire il Paese: a pagare le scuole, a comprare il cibo e le medicine che distribuiamo al nostro popolo, a formare i poliziotti che mantengono l’ordine e fanno rispettare le leggi del Corano», ha fatto sapere Ali Dehere, che alla domanda su quanto ammontava il riscatto ha risposto con un «no comment».
Il portavoce del gruppo terroristico ha detto che le persone che hanno partecipato al sequestro della giovane cooperante italiana sono «decine». Ma non sono stati i vertici dell’organizzazione a organizzare il rapimento: «C’è una struttura in seno ad Al Shabaab che si occupa di trovare soldi per far funzionare l’organizzazione, la quale poi li ridistribuisce al popolo somalo – ha spiegato – È questa struttura che gestisce le diverse fonti d’introiti».
«Nessuno viene a cercarci sul territorio. Non vengono né i soldati dell’Uganda e del Burundi dell’Amison (la Missione dell’Unione Africana in Somalia) né vengono le truppe somale che sono male armate e sotto pagate. Tutti credono di controllarci, quando in realtà siamo noi che li assediamo. Finora siamo sempre stati etichettati come ‘terroristi’. Mi pare una definizione riduttiva per Al Shabaab – ha affermato – Controlliamo gran parte del Paese, soprattutto nelle aeree rurali. Ma siamo presenti anche nelle periferie delle città. Eppure non siamo riconosciuti dalla comunità internazionale, forse perché vogliamo che la Sharia sia legge anche a Mogadiscio e perché chiediamo che le truppe dell’Amison lascino il Paese».
«Siamo in guerra e i droni americani e l’artiglieria pesante keniana non bombardano soltanto le nostre postazioni militari ma anche i nostri i villaggi e le nostre città, provocando un gran numero di vittime civili. Ogni ostaggio è un bene prezioso quindi appena c’era il minimo rischio che la zona dove tenevamo nascosta Silvia Romano era diventata un possibile bersaglio per i nostri nemici, sceglievamo un altro nascondiglio», ha affermato ancora Ali Dehere.