Il racconto di Silvia Romano sui mesi di prigionia e la liberazione

«Qualche giorno prima del rapimento erano venuti a cercarmi due uomini al villaggio di Chakama in Kenya. Quando l’ ho saputo non ho dato importanza alla cosa». Poi però sono arrivati in quattro con due moto e l’hanno portata via. «Il viaggio nella giungla è stato tremendo. Le moto si sono rotte subito e quindi abbiamo continuato a piedi per un mese. Mi hanno tagliato i capelli perché dovevamo passare in mezzo ai rovi. Ero terrorizzata. Faceva caldo, ma poi la notte c’ era freddo e dormivamo all’ aperto. Mi hanno dato i vestiti e anche alcune coperte. Abbiamo dovuto attraversare un fiume. Il fango mi arrivava alla vita. Dopo ho saputo che siamo stati in cammino un mese».
Così Silvia Romano nel racconto sui mesi della sua prigionia tra Kenya e Africa, consegnato al magistrato Sergio Colaiocco e al colonnello del Ros Marco Rosi.
« Mi hanno chiuso in una stanza, dormivo su un pagliericcio. Mi davano da mangiare e non mi hanno mai trattata male, non sono stata incatenata o picchiata. Non sono stata violentata. Però ho chiesto un quaderno. Volevo tenere il tempo, capire quando era giorno e quando scendeva la notte. Volevo scrivere tutto. Ho chiesto anche di poter leggere, libri,» ha detto ancora la ragazza.
«Volevo pregare e mi hanno messo il Corano scritto in arabo e in italiano. Mi hanno anche dato dei libri. Ero sempre da sola e a un certo punto mi sono avvicinata a una realtà superiore. Pregavo sempre di più, passavo il tempo a studiare quei testi. Ho imparato anche un po’ di arabo», ha continuato la giovane, che per due volte non è stata bene: «Avevo dolori forti e la febbre, hanno fatto venire il dottore e mi hanno curata. Mi hanno sempre dato da mangiare, se la sera eravamo in viaggio per i trasferimenti e faceva freddo mi davano le coperte».
Poi i dettagli sulla liberazione:
«Mi disse che l’ operazione era finita, che mi liberavano. Dopo qualche giorno è venuto a prendermi. Mi ha fatto salire su un carretto trainato da un trattore. Sopra c’ era un tavolo. Il viaggio è durato tre giorni e due notti. per dormire mi sono messa sotto il tavolo con le coperte».
E all’ appuntamento con chi deve prenderla in consegna, lei è salita su un’auto: «C’ erano due uomini, erano somali. Abbiamo fatto un tratto che non è durato tanto». Un viaggio di 30 chilometri, poi l’arrivo in un compound militare e il trasferimento all’ ambasciata italiana a Mogadiscio, dove è stata ricevuta dall’ambasciatore Alberto Vecchi.