Coronavirus, Ricolfi: «Indizi di ripresa in almeno 15 province. La politica annacqua la verità se no la macchina dei consumi non riparte»

«Non lo si può dire con assoluta certezza, perché troppo pochi e scadenti sono i dati della Protezione Civile su cui siamo costretti a basarci. Però una cosa possiamo dirla: negli ultimi 8-10 giorni ci sono segnali preoccupanti:
– il numero di morti giornaliero continua a calare, ma a un ritmo lentissimo;
– i ricoverati in terapia intensiva hanno smesso di scendere;
– il numero di nuovi casi è in aumento, sia in termini assoluti sia in rapporto al numero di persone testate con i tamponi.
Questo sul piano nazionale.
Se poi, vincendo l’orrore per la qualità dei dati forniti a livello provinciale, ci avventuriamo in una analisi dei dati provinciali sul numero di nuovi contagiati (gli unici disponibili a quel livello territoriale) in base ai dati disponibili il 18 giugno, il quadro diventa ancora più preoccupante. Ci sono almeno 15 province in cui, in base all’andamento dei nuovi casi, è possibile individuare indizi di ripresa dell’epidemia».
Così il sociologo Luca Ricolfi, professore di Analisi dei Dati all’Università di Torino, in un articolo pubblicato sabato scorso sul sito della Fondazione Hume, di cui è presidente e direttore scientifico.
In un’intervista all’Huffington Post, Ricolfi ha poi spiegato: «Molte (8) sono in Lombardia, e fra esse c’è Milano. Ma molte (7) sono in altre regioni del Nord o del Centro: Alessandria, Vercelli, Bologna, Arezzo, Rieti, Roma, Macerata. Se poi consideriamo anche un secondo gruppo di province, in cui i segnali di ripresa dell’epidemia ci sono ma sono meno nitidi, se ne devono aggiungere altre 7, fra cui Padova, Firenze e persino una provincia del Sud (Chieti). In tutto fa ben 22 province (su 107) in cui dovrebbero scattare piani per evitare che il contagio torni a dilagare».
Secondo Ricolfi questo aumento è dovuto «pretesa della politica di proteggere il turismo a qualsiasi prezzo».
Questo – ha continuato – «ci è costato prima (nelle 2 settimane a cavallo fra febbraio e marzo) un imperdonabile ritardo nelle chiusure, a partire dalla tragica vicenda di Nembro e Alzano. E rischia di costarci ora una ripartenza dell’epidemia. Quel che stiamo scoprendo, in queste settimane, è che la riapertura delle attività economiche, avvenuta essenzialmente a maggio, ha provocato conseguenze molto meno gravi di quelle che sta producendo la riapertura delle attività “ricreative”, che è in corso in questo mese di giugno».
«Dopo il 2 giugno», ha detto ancora il sociologo, «siamo tornati ad essere il gigantesco luccicante lunapark che da qualche decennio siamo sempre stati. Il Covid ringrazia».
Quanto alla gestione dell’epidemia da parte della politica, Ricolfi ha affermato: «Inutile girarci intorno: il rilancio del turismo e dell’economia del divertimento (ristorazione, calcio, sale giochi, eccetera) è incompatibile con un discorso di verità sull’andamento dell’epidemia». «E la politica ha scelto: in questo momento meglio annacquare la verità, se no la macchina dei consumi non riparte, e la società signorile di massa implode», ha osservato il sociologo.